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Eccentrics @ Tweed Run 2013 London
Si può, si deve. Individuo e change management, pt.1
Change management: formula aziendalista dettata dalle mode manageriali? L’ennesima ricetta di cucina efficentista? O nobile tentativo di astrazione delle (in fondo normali) condizioni dinamiche?
Tutto questo e molto di più. La letteratura (teorie scientifiche, case hystories, supporti consulenziali) è oramai sterminata, spinta negli ultimi anni dalla necessità di gestire transizioni complesse e rischiose con strumenti e modelli che ne consentissero o agevolassero il controllo.
Certo che, condizionati o forse sopraffatti dalla tecnocrazia che caratterizza la nostra civiltà, le pratiche di gestione del cambiamento (o di governo della transizione che dir si voglia), si sono indirizzate in prevalenza verso le organizzazioni lasciando supporre che la complessità abiti solo in azienda (statale o pubblica, profit o non profit che sia).
Forse questo è vero, forse no. Certo che l’approccio talvolta mercantile e mercatistico della comunità scientifica rafforza la prima ipotesi. Non a caso tutti i testi sacri sul change management si aprono citando Niccolò Machiavelli (Il Principe, cap. 6): “Non c’è niente di più difficile da condurre, né più dannoso da gestire, dell’iniziare un nuovo ordine di cose.” Musica per le orecchie dei megaconsulenti.
E il cambiamento legato all’individuo? In che modo le persone affrontano le grandi modificazioni dell’esistenza? Insomma, “c’è una mappa?”
Sarebbe ingeneroso negare il contributo degli studi scientifici all’approccio individuale. Che tenta di descrivere il modo in cui l’individuo reagisce ai grandi cambiamenti che lo coinvolgono, siano strettamente personali che lavorativi o sociali. Change management sia come strumento per prevedere e gestire le reazioni degli individui sia, al contrario, per aiutare gli individui a governare e canalizzare le proprie reazioni. Evidente il legame con la psicologia e le scienze sociali.
Da Wikipedia:
Modello di Kurt Lewin (la percezione a 3 stadi del cambiamento)
Il modello sviluppato da Kurt Lewin, uno dei primi modelli di Change Management che ne ha interpretato il punto di vista individuale, descriveva la transizione come un processo a tre stadi. Il primo stadio, lo “scongelamento” (“unfreezing”), comporta il superamento dell’inerzia e lo smantellamento della mentalità e delle abitudini esistenti. La naturale resistenza innescata dai meccanismi di difesa deve essere superata. Il secondo stadio, quello in cui si attua/manifesta il cambiamento, è contraddistinto da uno stato di confusione e di provvisorietà legata alla transizione. Si è consapevoli che il quadro precedente è stato messo in discussione ma non si ha ancora una chiara percezione di come sostituirlo. Il terzo stadio, il “ricongelamento” (“refreezing“), comporta il consolidamento del nuovo quadro e delle nuove abitudini e la loro cristallizzazione, riportando gli individui ad un livello di confidenza con i processi analogo a quello prima del cambiamento.
Modello di Kübler-Ross (le 5 fasi reattive dell’individuo a fronte del cambiamento)
Alcune teorie sono basate su approcci derivanti dal modello di Elisabeth Kübler Ross spiegato nel libro La morte e il morire. Le fasi (non necessariamente in sequenza temporale) con cui reagisce l’individuo che subisce un lutto importante o gli viene diagnosticata una malattia grave sono tipicamente contrassegnate da: negazione/rifiuto (non è possibile!), rabbia (perché proprio a me?), patteggiamento (salviamo il salvabile), depressione (non sarà più come prima), accettazione (mettiamoci l’animo in pace). I modelli derivati generalizzano e trasportano queste fasi reattive in ambiti diversi da quello in cui il modello è nato (applicandolo per esempio all’ambito lavorativo) evidenziando una forte analogia con i vari contesti nei quali l’individuo si trova di fronte a cambiamenti che non comprende ritrovandosi ad essere soggetto passivo.
E adesso proviamo a pensare a noi stessi: quante volte abbiamo affrontato il cambiamento? E siamo riusciti a governarlo? Ne abbiamo avuto la necessaria consapevolezza? L’abbiamo subìto o l’abbiamo gestito a nostro vantaggio? Risposte complesse a domande semplici: bisognerà tornare in argomento.