Tartan makes its mark on the catwalk in Milan
Scandinavia: The next supermodel
Meno tasse e stato leggero. Servizi di prima qualità e welfare generoso. Dopo la crisi degli anni novanta, i paesi dell’Europa del nord hanno saputo reinventarsi. Conciliando tagli alla spesa pubblica e competitività con livelli di eguaglianza ancora unici al mondo. Dallo speciale dell’Economist uno sguardo sulla società desiderabile.
Svezia: il paese che un tempo era l’esempio più autorevole della “terza via” si è convertito a un modello politico ancora più interessante. Dal 1993 a oggi la Svezia ha ridotto la spesa pubblica dal 67 al 49 per cento del Pil. Presto avrà uno stato più leggero del Regno Unito. Dal 119873 ha abbassato di 27 punti l’aliquota fiscale più alta (oggi al 57 per cento) e ha eliminato un groviglio di tasse sugli immobili, le donazioni, i patrimoni e le successioni. Quest’anno l’imposta sui redditi passerà dal 26,3 al 22 per cento. Oltre a diverse operazioni di virtuosismo finanziario il paese ha consolidato il sistema pensionistico, garantedosi protezione dalle tempeste finanziarie e costruendo un sistema sostenibile in futuro.
Per gran parte del ventesimo secolo la Svezia si è vantata di rappresentare una middle way tra capitalismo e socialismo, secondo la definizione data nel 1936 dal giornalista statunitense Marquis Childs. Mentre le multinazionali come Volvo e la Ericsson producevano ricchezza, i burocrati illuminati costruivano la folkhemmet (la casa del popolo), l’ideale politico e sociale della socialdemocrazia svedese.
Con il passare degli anni la middle way si è spostata sempre più a sinistra. Lo stato è cresciuto: in vent’anni (dal 1960 al 1980) la spesa pubblica è quasi raddoppiata. Le tasse sono aumentate e il Partito socialdemocratico (che ha governato dal 1932 al 1976 e poi dal 1982 al 2006) ha continuato a tassare le imprese.
“L’era del neocapitalismo sta finendo” diceva nel ’74 l’allora premier Olof Palme. “E’ in una qualche forma di socialismo che dobbiamo trovare la chiave del futuro”. Gli altri nordic countries hanno seguito la stessa strada, anche se a ritmi più lenti. Oggi la Danimarca ha un mercato del lavoro tra i più liberali d’Europa e le famiglie possono mandare i figli in scuole private a spese dello stato, mentre la Finlandia mobilita capitali di rischio per finanziare le imprese e l’innovazione. La Norvegia, ricca di petrolio, fa in parte eccezione. Ma anche Oslo si sta preparando a un futuro post-petrolifero.
La sfida riuscita è di essere riusciti a salvare il meglio del welfare del passato adattandolo allo scenario di oggi: meno grandi corporation che finanziano la spesa pubblica e un modello sociale razionale e organizzato: Grandi passi verso l’e-government e sfruttamento intelligente dei talenti interni. Il tasso di mobilità sociale (assieme a quello di occupazione femminile) è il più alto del mondo.
Lant Pritchett e Michael Woolcock, della Banca mondiale, hanno coniato il termine getting to Denmark (andare in Danimarca) per descrivere un processo di modernizzazione ben gestito. Ma i problema non è tanto andare in Danimarca, quanto restarci: il dubbio riguarda i paesi che tentano di imparare dal modello nordico. Questi adattamenti sono difficili. Il successo dei paesi nordici dipende da una lunga tradizione di buon governo, fondata non solo sull’onestà e sulla trasparenza, ma anche sul consenso e sul compromesso. Imparare dalla Danimarca rischia di essere altrettanto difficile che restarci.
Blu (ho visto l’alba blu)
Aspetta chi è aspettato
che sia compiuta l’attesa di chi attende
non sono strutturato in modo di poter reggere per molto tempo ancora
sotto la calma apparente
un assordante frastuono
dissonanze chiassose e confuse
armonie affannate sconnesse
leggere increspature agli orli
ho dato al mio dolore la forma di parole abusate
che mi prometto di non pronunciare mai più
alimentare catena implacabile
pause tranquille atte alla digestione
intransigenze mute
rabbiose devozioni
ho dato al mio dolore la forma di parole abusate
che mi prometto di non pronunciare mai più
ho dato al mio dolore la forma di abusate parole
lasciando perdere attese e ritorni
ho aperto gli occhi dall’orlo increspato
ho visto l’alba blu
Happy Birthday Dad
The complete story of John F. Kennedy’s yacht Manitou
Più forza dalle avversità: costruire la resilienza.
Resilienza è una parola con tanti significati diversi: in contesto ingegneristico è la capacità di un materiale di resistere a forze impulsive (ovvero, della capacità di resistere ad urti improvvisi senza spezzarsi).
Anche in informatica ci si imbatte nella resilienza: è l’idoneità di un sistema ad adattarsi alle condizioni d’uso e di resistere all’usura in modo da garantire la disponibilità dei servizi erogati (per gli anglofili stiamo parlando di “business continuity).
E poi in biologia, ecologia, odontoiatria, protezione civile, addirittura religione… insomma un termine presente dappertutto con significati diversi secondo lo scenario di riferimento.
Ma l’aspetto che più ci interessa è la resilienza nelle scienze sociali e in psicologia. E proprio per questo mi sembra utile partire subito con dei sinonimi di resilienza: elasticità e mobilità. Due parole che dicono tantissimo e che ci portano al significato più prezioso per questo articolo: resilienza come “somma di abilità, capacità di adattamento attivo e flessibilità necessaria per adottare nuovi comportamenti una volta che si è appurato che i precedenti non funzionano”.
In psicologia infatti, resilienza connota proprio la capacità delle persone di far fronte agli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà. Non è quindi solo capacità di resistere, ma anche di “ricostruire”la propria dimensione, il proprio percorso di vita, trovando una nuova chiave di lettura di sé, degli altri e del mondo, scoprendo una nuova forza per superare le avversità. Si tratta di un processo individuale, ovvero che si costruisce nella persona in base alla personalità, ai modelli di attaccamento e agli eventi di vita e pertanto si verifica in modo differente in ognuno di noi.
L’esito di un siffatto processo non può che essere “la riorganizzazione del percorso di vita, la possibilità di trasformare l’evento doloroso e traumatico, l’esperienza e il vissuto di crisi in un processo di apprendimento e crescita: resilienza intesa come conoscenza, elaborazione ed educazione (da “e-ducere”) dell’evento.”
” le difficoltà rafforzano la mente così come il lavoro irrobustisce il corpo”
Seneca
Quando la vita rovescia la nostra barca, alcuni affogano, altri lottano strenuamente per risalirci sopra. Gli antichi chiamavano il gesto di risalire sulle imbarcazioni con il verbo “resalio”. Forse il nome della capacità di chi non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità, deriva da qui.
Definizione sintetica ma efficacissima, in psicologia, è quella che vede la resilienza come la capacità dell’uomo di affrontare e superare le avversità della vita e uscirne rinforzato o, addirittura, trasformato.
Essa é piú della semplice capacitá di resistere proteggendo il proprio io da circonstanze difficili, é pure la possibilitá di reagire positivamente a scapito delle difficoltá e la voglia di costruire utilizzando la forza interiore propria degli essere umani. Non é solo sopravvivere a tutti i costi, ma è avere la capacitá di usare l´ esperienza nata da situazioni difficili per costruire il futuro.
Le recenti ricerche sull’ argomento hanno evidenziato come ogni persona abbia in sé le risorse e le abilità per affrontare al meglio qualsiasi crisi e difficoltà. Queste abilità possono essere insegnate a partire dalla più tenera infanzia nonché incrementate. Si può concepire la resilienza come una funzione psichica che si modifica nel tempo in rapporto con l’esperienza, i vissuti e, soprattutto, con il modificarsi dei meccanismi mentali che la sottendono.
Le caratteristiche della resilienza sono:
“insight” o introspezione: la capacitá di esaminare se stesso, farsi le domande difficili e rispondersi con sinceritá.
Indipendenza: la capacitá di mantenersi a una certa distanza, fisica e emozionale, dei problemi, ma senza isolarsi.
Interazione: la capacitá per stabilire rapporti intimi e soddisfacenti con altre persone.
Iniziativa: la capacitá di affrontare i problemi, capirli e riuscire a controllarli.
Creativitá: la capacitá per creare ordine, bellezza e darsi obiettivi partendo dal caos e dal disordine.
Allegria: disposizione dello spirito all’allegria, ci permette di allontanarci dal punto focale della tensione, relativizzare e positivizzare gli avvenimenti che ci colpiscono.
Morale: si riferisce a tutti i valori accettari da una societá in un’epoca determinata e che ogni persona interiorizza nel corso della sua vita.
Secondo gli specialisti, l’atteggiamento resiliente è dinamico e passa attraverso diverse fasi di difesa per contrastare traiettorie evolutive negative.
Una persona resiliente passa attraverso una fase di rivolta e il rifiuto di sentirsi condannata alla sofferenza.
In un secondo momento, sopraggiungono il sogno e il senso di sfida, cioè il desiderio di uscire dal trauma, prefiggendosi un obiettivo.
Si nota anche un atteggiamento di rifiuto, che consiste nel crearsi un’immagine di persona forte pur di difendersi dalla compassione altrui, anche se resta sempre una certa fragilità interiore.
Infine, il senso dell’umorismo che una persona resiliente tende a sviluppare nei confronti del proprio trauma. E’ un modo per non compatirsi e per smettere di essere visti dagli altri come vittime della vita.
Di fatto l’individuo resiliente presenta una serie di caratteristiche psicologiche inconfondibili: è un ottimista e tende a leggere gli eventi negativi come momentanei e circoscritti; ritiene di possedere un ampio margine di controllo sulla propria vita e sull’ambiente che lo circonda; è fortemente motivato a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato; tende a vedere i cambiamenti come una sfida e un’opportunità, piuttosto che come una minaccia; di fronte a sconfitte e frustrazioni è capace di non perdere comunque la speranza.
A determinare un alto livello di resilienza contribuiscono diversi fattori, primo fra tutti la presenza all’interno come all’esterno della famiglia di relazioni con persone premurose e solidali. Questo tipo di relazioni crea un clima di amore e di fiducia, e fornisce incoraggiamento e rassicurazione favorendo, così, l’accrescimento del livello di resilienza.
Gli altri fattori coinvolti sono:
una visione positiva di sé ed una buona consapevolezza sia delle abilità possedute che dei punti di forza del proprio carattere;
la capacità di porsi traguardi realistici e di pianificare passi graduali per il loro raggiungimento;
adeguate capacità comunicative e di “problem solving”;
una buona capacità di controllo degli impulsi e delle emozioni.
Per concludere la resilienza è data dall’interazione tra
CIÓ CHE IO HO (risorse esterne)
persone che mi circondano di cui mi fido e a cui voglio bene;
persone che mi pongono dei limiti, così che io sappia fino a che punto posso arrivare e dove mi posso fermare;
persone che, attraverso il loro comportamento, mi mostrino come agire in maniera giusta e corretta;
persone che vogliono che io impari a fare le cose da solo;
persone che mi aiutino quando sono in pericolo, sono malato o ho bisogno di imparare.
CIÓ CHE IO SONO (forze interiori)
una persona che può piacere e che può essere amata;
contento di fare le cose per gli altri;
una persona che ha rispetto per se stessa e per gli altri;
responsabile delle mie azioni;
sicuro che ogni cosa andrà bene.
CIÓ CHE IO POSSO FARE
parlare agli altri di cose che mi spaventano o mi preoccupano;
trovare il modo per risolvere i problemi che incontro;
controllarmi;
trovare qualcuno che mi aiuti quando ne ho bisogno.
Tutto questo implica cercare nuove opportunità di crescita, assumendosi il rischio di vivere la propria vita come protagonista e non come spettatore.
Oltre il paternalismo: Adriano Olivetti
Great days in Tuscany: Bagno Vignoni
Le origini del “Bagno” risalgono al ‘200; all’inizio del ‘300 Bagno Vignoni e i borghi e castelli circostanti, passarono in possesso della famiglia senese dei Salimbeni fino al 1417, quando fu venduto al comune di Siena.
Il villaggio si sviluppò intorno ad una grande vasca rettangolare: intorno alla vasca si disposero le abitazioni, le locande ed in seguito la chiesa di San Giovanni Battista, dove attualmente è possibile vedere il frammento restaurato dell’affresco raffigurante Cristo risorto attribuito a Ventura Salimbeni.
È noto che Caterina da Siena soggiornò più volte a Bagno Vìgnoni, portata dalla madre che intendeva distoglierla dal proposito di farsi monaca.
L’estrema vicinanza alla via Francigena, percorso principale dei pellegrini che si recavano a Roma, favori’ la conoscenza e l’uso di queste acque anche ai viaggiatori, almeno quelli meno frettolosi: ne esiste una testimonianza nel diario di viaggio di Michel de Montagne del 1581.
Le acque e le loro virtù curative ispirarono nel ‘500 a Lattanzio Tolomei, dotto senese, un’iscrizione votiva dedicata alle Ninfe, con versi in greco scolpiti su una lapide tuttora visibile su uno dei pilastri del loggiato di santa Caterina.